venerdì 4 ottobre 2013

The art of racing in the rain - Caro Denver,

Ti avevo fatto tante promesse, ti ricordi? Saresti stato meglio, l'Ale saremmo andati a trovarla come una vecchia amica e non per farci curare, saresti di nuovo andato in montagna e a racchettare, avresti di nuovo corso come una scheggia, saremmo tornati ad allenarci insieme, avresti potuto mangiare cose buone e inseguire ancora le tue amate pecore. Spero con tutto il cuore che, prima o poi, potrai perdonarmi di non avere saputo mantenerne nemmeno una.

Lo sai meglio di me, abbiamo vinto la ruota della sfortuna. Ci siamo guadagnati una nemica rara, subdola, viscida e, purtroppo, ancora imbattuta. Una nemica che, per la prima ed unica volta, nemmeno insieme siamo riusciti a fermare. Lo so, Denver, che ti stai chiedendo perché proprio a te. Me lo chiedo ancora anche io, sai, ogni giorno, con insistenza, dal luglio scorso, e ogni minuto da quel maledetto martedì di fine settembre. Non riesco a trovare una risposta, probabilmente non la troverò mai. Qualcuno mi ha detto che le cose brutte capitano solo a chi è abbastanza forte per affrontarle e rivoltarle poi, col tempo, a proprio favore. Io credo che sia a dir poco stupido, ignobile e ridicolo che ciò possa accadere davvero. Non so se ci sia e chi sia quel tipo che ha il compito di tirare i fili, Pi, ma ad ogni modo, credi a me, non dev'essere uno tanto sveglio. Qualcuno dovrebbe spiegargli che, nel ventunesimo secolo, non è possibile, anzi è completamente inconcepibile che l'amore non conti ancora nulla. L'amore non conta nulla alla corte di chi giudica (ma non per noi, tranquillo, Pipino), hai capito? Nulla: non importa quanto ne dai, non sarà mai abbastanza e questo è profondamente ingiusto. A lui, o a chi per esso, gira il cinque minuti e rovescia addosso il sistema fognario dei rapaci notturni di tutto il fantabosco al primo che incrocia. Ma tu ascoltami bene, Pi, - e so che lo farai, come facevi sempre – non pensare mai – capito, mai – di essertelo meritato, che possa essere stata in qualche modo una punizione. Non te lo meritavi, Pi. Non te lo meritavi per niente. E credo che non ce lo meritavamo neanche noi. Anzi, sono sicura.

Sei stato un vero guerriero sempre ma innegabilmente e soprattutto negli ultimi mesi: hai reagito e resistito, ogni volta che tutto sembrava perso, che le statistiche parlavano chiaro, che le probabilità erano nulle. Hai lottato come un leone. Fino all'ultima ora. Hai voluto tornare a sorridere e a farti brillare gli occhi per un weekend intero. Hai voluto rispedirmi a Lucerna con la faccia piena di leccate – cosa che non facevi mai: a me come a te, i saluti non sono mai piaciuti - prima di congedarti da noi per sempre. Non te ne sarò mai abbastanza grata.

Hai sempre avuto coraggio, tu. Coraggio di guardarci negli occhi e nel cuore, di ascoltare, di capire e, se necessario, fare ancora di testa tua. Ma li vedrà, la gente, tutti quei Border-Collie-macchinetta con problemi psichici e fisici, schiacciati per terra o impazziti dietro una pallina, sfruttati mentalmente fino all'esaurimento nervoso, con il solo scopo di eccellere in una delle numerose discipline sportive che, a guardarle da fuori e comparate con i problemi di questo mondo, sono persino ridicole? Tu non eri uno di quelli. Non abbiamo mai voluto che lo diventassi, nemmeno per un minuto. E mi spiace che ancora e sempre più, ci sia gente incapace di guardare negli occhi il proprio cane e farsi suggerire cosa davvero sia meglio per lui. A te l'agility piaceva tanto, ti piaceva anche l'obedience e ti piaceva girare intorno alle pecore. A dire la verità ti piaceva fare tutto, purché fosse con uno di noi, meglio se con me. Se ce ne fosse bisogno, vorrei dirti che la cosa era reciproca. Eri un cane tranquillo ed equilibrato, dal portamento fiero, ma buono come il pane sbirulino. Con due occhi ambrati che non dimenticherò mai e la “C” di croccante stampata sulla schiena. La coda – salvo nelle immediate vicinanze di greggi – a banderuola, contro ogni standard di razza. Eri uno che conosceva una varietà di trucchi e stupidaggini da fare invidia al circo; mente vasta, acuta e brillante. Eri ubbidiente e ci facevi sempre fare bella figura ma ti piacevano, come a me, le buone maniere. Sapevi dire di no, se necessario. Sapevi insegnare e far ragionare, Pi. Sapevi insegnare a parlare con te, a capirti, a darti fiducia e, soprattutto, a volerti bene. E tutto questo lo sapevi rivoltare con grande maestria non solo sul tuo io, ma anche sul nostro: ci hai riportato la fiducia in casa, Pulci, la dolcezza infinita, la forza di conoscere, capire, ascoltare, lottare, volere e volersi bene, apprezzare sé stessi e gli altri, perdonare. Il silenzio e la pazienza. L'amicizia vera e indissolubile. Spero che riusciremo a mettere in pratica tutto quello che ci hai insegnato anche solo con una punta di quella precisione e di quello spirito che tu mettevi nelle cose - ormai insignificanti - che ti avevamo insegnato.

E un'altra cosa, Nasone. Ascoltami bene. Probabilmente anche lassù, in questi giorni per noi tristi e vuoti come mai, ti sono arrivate le voci di chi è riuscito a formulare il pensiero che, in fondo, eri “solo un cane”. Non ascoltarli, Pulci, perché io ho sempre sognato “solo un cane” come te. Mi hai fatto crescere e sei cresciuto con me, sette passi avanti, come tuo solito. Rimani un dono prezioso che non perderò mai. Mi hai dato la chiave per aprire la porta del cuore del mio prossimo compagno a quattro zampe, anche se mai nessuno potrà sostituirti. Tu, il mio “solo un cane”; colui che mi ha insegnato l'umanità che mi permette, oggi, di non essere “solo una donna”. Grazie, Denver.

Sai, una leggenda mongola dice che quando un cane muore viene sepolto in cima a una collina, dove le persone non possono raggiungerlo, in modo che il grande spirito dei cani possa sussurrargli all'orecchio il suo desiderio che egli ritorni come un uomo nella sua prossima vita. Prima che si reincarni, l'anima del cane è libera di viaggiare e correre per tutto il tempo che vuole. Me l'ha raccontato il vecchio Enzo che, a sua volta, l'ha sentito al National Geographic Channel: dev'essere vero.

Ma non tutti i cani ritornano – dice – solo quelli che sono pronti.

Tu sei pronto.

Prenditi il tempo che ti serve.
Qui intanto facciamo tesoro di quello che ci hai lasciato, parliamo di te, anche se a volte ancora con gli occhi gonfi. Ce la facciamo, Zucus, solo per te.

Ti aspetto, Zuchi.
E fino ad allora, ci sentiamo in linea diretta ..come al solito.
Grazie di tutto.












1 commento:


  1. È difficile fare un commento a questa dichiarazione d'amore, come è difficile alzarsi al mattino e non vederti "scorrazzare"per il giardino oppure seduto, vicino al cancello, schiena dritta, orecchie alte ad aspettare il postino, sembra sempre da un momento all'altro di vederti "sbucare" dal tuo nascondiglio fra la vite e le azalee.....neanche lo spruzzo della canna dell'acqua ti fa arrivare, niente.
    L'altro giorno sono andata in montagna, c'erano tutti i tuoi amici a quattro zampe, mancavi solo tu...una fitta mi ha attraversato il cuore.Ci manchi, patatone!

    Ti porteremo sempre nel nostro cuore, ricorderemo tutti i momenti passati assieme; con l'andar del tempo saranno sempre gli attimi più belli, più gioiosi e scherzosi che visiteranno i nostri ricordi e i nostri ricordi, adesso prevale ancora la tristezza....
    Ti lascio una poesia di Pablo Neruda che si intitola "Ode al cane".
    Vai corri felice, senza sofferenze, nel cielo azzurro, fra le nuvole e l'arcobaleno.
    Grazie, amico nasone. Mamina.


    Il cane mi domanda
    e non rispondo.
    Salta, corre pei campi e mi domanda
    senza parlare
    e i suoi occhi
    sono due richieste umide, due fiamme
    liquide che interrogano
    e io non rispondo,
    non rispondo perche'
    non so, non posso dir nulla.

    In campo aperto andiamo
    uomo e cane.

    Brillano le foglie come
    se qualcuno
    le avesse baciate
    a una a una,
    sorgono dal suolo
    tutte le arance
    a collocare
    piccoli planetari
    su alberi rotondi
    come la notte, e verdi,
    e noi, uomo e cane, andiamo
    a fiutare il mondo, a scuotere il trifoglio,
    nella campagna cilena,
    fra le limpide dita di settembre.

    Il cane si ferma,
    insegue le api,
    salta l'acqua trepida,
    ascolta lontanissimi
    latrati,
    orina sopra un sasso,
    e mi porta la punta del suo muso,
    a me, come un regalo.
    E' la sua freschezza affettuosa,
    la comunicazione del suo affetto,
    e proprio li' mi chiese
    con i suoi due occhi,
    perche' e' giorno, perche' verra' la notte,
    perche' la primavera
    non porto' nella sua canestra
    nulla
    per i cani randagi,
    tranne inutili fiori,
    fiori, fiori e fiori.
    E cosi' m'interroga
    il cane
    e io non rispondo.

    Andiamo
    uomo e cane uniti
    dal mattino verde,
    dall'incitante solitudine vuota nella quale solo noi
    esistiamo,
    questa unita' fra cane con rugiada
    e il poeta del bosco,
    perche' non esiste l'uccello nascosto,
    ne' il fiore segreto,
    ma solo trilli e profumi
    per i due compagni:
    un mondo inumidito
    dalle distillazioni della notte,
    una galleria verde e poi
    un gran prato,
    una raffica di vento aranciato,
    il sussurro delle radici,
    la vita che procede,
    e l'antica amicizia,
    la felicita'
    d'essere cane e d'essere uomo
    trasformata
    in un solo animale
    che cammina muovendo
    sei zampe
    e una coda
    con rugiada.


    10 ottobre 2013 18:02

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