venerdì 31 marzo 2017

Loro sono 88, tu sei infinito

All'alba del giorno dopo. L'alba del giorno dopo, pare accendere un po' di più Lucerna. Il lago dei quattro cantoni brilla di una luce nuova, mentre il traffico del mattino scorre. Sto andando a prendere il treno per tornare a casa e, dirigendomi verso la stazione, - ormai di nuovo padrona della sua vita e dei suoi binari - guardo l'imponente stabile che contiene una delle sale da concerto più famose d'Europa. La sala grande del KKL è un'enorme imbarcazione bianca, attraccata sotto a un cielo stellato. Sul ponte, a volte, compare qualcuno. Ieri sera quel qualcuno ha fatto salpare la nave, in un viaggio di stanze. E nel viaggio, com'è giusto che sia, ha accorciato le distanze. Sul ponte della nostra nave non c'era Novecento ma, per quel che mi riguarda, se Novecento avesse un volto, assomiglierebbe certamente a quello di Ezio e così il suo sorriso.

È inutile nascondercelo. Qualcuno si è alzato ed è tornato a casa su qualche piccola scialuppa. Qualcuno ha passato la serata, sfuggendo alle riprese provenienti dal palco, a chiedere di tornare indietro, a navigare in un altro senso, attaccato a un telefono che non sappiamo più spegnere. Vi dirò, credo di poterlo capire, anche se personalmente non appartengo al partito di chi abbandona una nave, soprattutto se non sta affondando, ma prendendo il volo, come in questo caso. Chi è rimasto ha vissuto qualcosa di forte. . Che sarebbe più facile spiegarlo con un Cage-iano, lungo, silenzio, com'è andata, condito con una specie di sorriso. Perché riassumere quello che è successo in quasi tre ore – tre – di concerto, di scambio, di navigazione, è difficile. Davvero difficile. Perché le parole immiseriscono e trovare una risposta adeguata a quel “com'era?” che ti aspetta a casa è forse impossibile.

È andata che questo tizio vestito di nero, ha snocciolato aneddoti, riflessioni, racconti, umanità, musica, seduto davanti al suo pianoforte, al suo fratello, al suo salvagente - se vogliamo continuare con le metafore navali. È andata, che abbiamo incontrato Chopin e Bach (der alte Mann) fusi (guardate poi voi in che senso), Cage (e mi verrebbe da dire, tanto Cage, che forse – mi permetto - è partito tutto da lui, da quel primo “Bravo”), Emily Dickinson. Scriviamo e riceviamo cartoline da lontano. E, nella seconda parte, veniamo travolti dalla Sonata numero 1 in sol minore, che un po' ti tira sotto, un po' ti riaccompagna a riva: è sua, immensamente sua, ed improvvisamente nostra, per tutti i più o meno quarantacinque minuti che la compongono, che però scivolano via svelti. C'è che se guardi, se ti ostini a guardare, ti viene presto il mal di mare, ma se chiudi gli occhi, se riesci a chiudere gli occhi e a rimanere lì, a non cedere, vieni cullato dal suono delle onde e sei, finalmente, libero – libero - di immaginarti un orizzonte nuovo, per te, per gli altri.

“loro sono 88, tu sei infinito” scriveva Baricco tra le pagine del suo monologo teatrale. “Loro sono 88, tu sei infinito” diceva Novecento a Max Tooney, spiegandogli perché lui non sarebbe sceso dalla nave. “Loro sono 88, tu sei infinito” dico anche io, a quest'uomo, pianista, compositore, direttore. Loro sono 88, tu sei infinito, Ezio: and it's never – never - over.


I. Adagio doloroso, verso il brio, con furore, Adagio. (Entering the rooms)

II. Trio: Sospeso, Dolcemente, con moto, agitato. (Fidding the rooms, Imaginary room mates)



III. Finale: Allegro molto, calmo, presto, come una danza (the 12th Room)

lunedì 27 marzo 2017

Guarda la fotografia


Era settembre 2012, quando SpazioReale ha aperto le sue porte per la prima volta, per mostrarci delle fotografie custodite nelle sale dell'antico convento di Monte Carasso. Erano quelle de Il resto della vita, di Gianluca Grossi. Da allora sono passati più o meno (meno) cinque anni, nei quali abbiamo avuto modo di visionare un gran numero di fotografie, ricambiare diversi sguardi (o seguirne la direzione), incontrare persone, professionisti della fotografia vicini e lontani, cittadini del mondo, vicini di casa o entrambe le cose. SpazioReale riapre e, dopo aver mancato le vie parallele, ho colto l'invito a visitare quest'ultima mostra (ultima solo per ora, si intende). Machevelodicoafare, non ho potuto fare a meno di tirare fuori la macchina dalla borsa; chissà, forse è proprio lo Spazio a suggerirlo. Insomma, qui trovate qualche immagine di questo luogo e delle fotografie scattate da Gianluca Grossi, le quali saranno visibili fino all'undici giugno. Le pagine dei taccuini che vedete appese, sono a loro volta scritte dalla penna del reporter. Sono lì, appese, sospese. 

Anche questa volta sono e siamo stati dentro e fuori il Convento e, forse, una volta dentro, non ci siamo nemmeno fermati lì. Siamo partiti e tornati, un po' cambiati, o magari più fermamente attaccati, rimasti saldi all'idea di non cedere all'urto dell'ignoranza. Di resistere. Resistenze fa pubblicità alla vita. Senza nessun aggettivo possessivo (o con tutti quelli possibili). Io ve lo dico, passate di lì, se avete tempo. Guardate le fotografie. E, magari, poi, una volta a casa, riascoltatevi Jannacci.