venerdì 18 aprile 2014

Nome di lui era...

È passato un po' di tempo da quando ho promesso di raccontarvi una serata al Teatro Tan di Biasca. Qualcosa come cinque mesi, in effetti. Ho anche poche fotografie, non del tutto eccezionali. Poche cose da dire e si fa per dire ma, se ci penso bene, tante belle emozioni che camminano sul filo. Non lo sentite anche voi?


Un sabato sera come un altro, ventitré novembre dell'anno scorso.
All'esterno di un teatro che visito la seconda volta nello spazio di poco tempo c'è già un discreto chiacchiericcio. Ci sono due bambine che si occupano di controllare le entrate e le luci basse. E quando finalmente la porta si apre, c'è pure un serpente ordinato e curioso che prende posto.

Oh, due arance. Saranno venticinque palline, quelle colorate sulle scale. Ventisei, ti dico. Un giornale, un libro, una carta geografica. E quello? Deve essere un ramo. Sono rose? Un trenino che proviene diretto dall'armadio dei giochi, una bottiglia con un fedele amico dal pancione e con un bel nasino. Non so voi ma a me sembra una caffettiera, quella lì. Dove? Ma lì, li sopra! Ok, si sono dimenticati di spostare l'aspirapolvere. E lo specchio sotto il lampione. Adesso taci però, che inizia.

C'è che, nelle ore successive, veniamo travolti, tutti, grandi e piccoli, da personaggi strani o del tutto normali (che ritroviamo un po' in ognuno di noi), in equilibrio tra fantasia e realtà. Siamo stati seduti su un bus e ci siamo fatti raccontare una storia che avevamo osservato da un finestrino, come fosse un film muto. E Viktor, sicuramente, ha guadagnato rapidamente il cuore di tutti. Abbiamo cercato di fare andare l'aspirapolvere sopra la nostra ombra che non si staccava più. Abbiamo alzato gli occhi per vedere una rondine in grado di discutere con il suo ramo (e se ognuna di loro lo fosse?). Siamo scesi a una stazione di passaggio, persi in un mercato del sabato, visto una ragazza dietro il banco di un chiosco, stretto i pugni, danzato a nostro modo un ritmo tra Argentina e Zurigo, riso o, riso e, pianto.

È un viaggio, o forse un miraggio, dentro e fuori. Ci facciamo accompagnare da un ragazzo che sta seduto dietro al pianoforte e ce le canta. Ci canta a suo modo le storie di Luca Chieregato, una canzone abusivissima che viene da lontano sì e no, ci "vende" malinconie (un po' sue, un po' nostre) e sorrisi, soprattutto sorrisi. Toccando, qualche tasto in più di quegli ottantotto che gli scorrono come vecchi amici sotto le dita. Si chiama Simone Menozzi, è un cantautore di casa nostra, vostra e soprattutto sua. Fa un po' il figo, a volte, in giro per Zurigo, ma a questo punto, vorrei dire che fa poi anche bene.

Che ne pensi? A me ricordava De André. No, ma non diciamo fesserie, lui ha uno stile suo. Già partono timidi i paragoni nella fila alle mie spalle, un po' fanno sorridere. Sorrido perché quando uno dice che ha scritto una canzone leggendo un articoletto su un giornale di neanche mezz'ora, non si può fare a meno di pensare a Faber che scrive La canzone di Marinella. Sorrido perché oltre a quello - ma evito di dirlo lì, per non farmi rimbeccare da nessuno - io ho visto sfumature dall'ironia di Baccini al pianoforte di Cammariere, sì forse soprattutto Cammariere, da Tricarico a Gazzè, dai calzini di Capossela, al teatro canzone di Gaber, fino alla serenità disarmante dei sulutumana. Dico visto, perché sono sfumature che, secondo me, ribadiscono un po' un'appartenenza, ma che sanno di assimilazione più che di citazione. Dico visto, perché da sentire c'è solo un viaggio nuovo.

Me ne esco, personalmente, abbracciata a o da un vento tranquillo di una canzone con due nomi. Ti terremo d'occhio, se ce lo permetterai. Fatelo anche voi, io ve lo consiglio. Se non d'occhio... almeno d'orecchio. 



P.S. Grazie Giopins per l'assestamento vagoncino. Good job.





















venerdì 4 aprile 2014

Com'è il paradiso

Carla, maestra, signorina
l'unica risposta credibile
messa in tasca da bambina
è che gli animali di cioccolato
sanno di primavera,
prima
vera
rinascita.

Carla, signorina, maestra,
c'è un palazzo che vedo
se guardo dalla mia finestra.
Ci lavorano da mesi,
e mi domando perché mai,
qualcuno lassù non aiuta a portare i pesi.
Il settimo
giorno
potrebbe
riposarsi.

Signorina, maestra, Carla,
volevo dirti che sul Piano,
ci sono il Toni che non parla,
e la Sabina con le briciole in mano,
l'Aldo (solo) dalle orecchie ci sente poco
ma ognuno ha un bel sorriso
e conosce bene il gioco.
Se Lazzaro non fosse diverso da loro
- ma dove poi? -
mio papà farebbe un altro lavoro.

Volevo dirti,
che Pasqua
non significa rinascita.
Che il palazzo
è finito.
Che i miei amici sono
sempre lì.
Che il vescovo è ancora
mio cugino.
E che adesso so
com'è il paradiso.