lunedì 27 novembre 2017

invisibili


Invisibili:
i tuoi pensieri, i miei sentieri,
il bianco del foglio che hai colorato,
invisibile il tuo passato, il mio futuro,
invisibile il muro, che ci separa.

Invisibile il dolore,
l'odore, il respiro del mio cane addormentato,
anche il palato, se non apri bocca,
invisibile il fondo della brocca - col vino,
invisibile il destino.

Invisibili:
le tue impronte, quando non c'è la neve,
questa vicinanza lieve, 
invisibile il passo di danza che devi ancora fare,
invisibili il deserto e il mare - da qui.

Invisibile il sogno che hai sognato,
se non me lo racconti o un fiato, in estate.
Invisibile la cascata prima di lanciarsi,
tutto l'allenarsi quando hai perso,
o già vinto da un po'.

Invisibili:
come una canzone, una melodia che ronza in testa,
come chi riordina - i piatti, i bicchieri,
i cuori e i pensieri -
con pazienza, dopo una festa.

Invisibile il bene che hai fatto,
il dentro, il dietro, il sotto,
tutto quello che hai rotto o senza saperlo riparato.
È invisibile il piede nella scarpa,
il sorriso che affondi nella sciarpa.

Invisibili:
il cuore, l'amore, il tempo, la musica;
la presenza, l'importanza, la complicità,
la grandezza di quel che non si riesce a guardare,
 di tutto questo sentire, esserci, essere.



Grazie, C.

giovedì 2 novembre 2017

messo in tasca

C'è un pubblico eterogeneo, mezzo giallo, mezzo verde, che va dal bambino di dodici anni con i suoi due bicchieri di acqua minerale, alla signora col bastone. Parte da prima di Sanremo, poi ci passa, per la maggior parte di noi, a raccogliere i grandi numeri, raggiunge i talent, salta dal "peròèpropriounbelragazzo" al "machevoce". C'è, ma la mettiamo via, nel senso che ce la dimentichiamo, una regia del suono dai risultati piuttosto scadenti, ché almeno la metà della prima strofa di ogni canzone accompagnata dalla band occorre immaginarsela, seguendo il labiale. C'è, concedetemelo, un live forse un po' acerbo per il mondo, ma che ha innegabilmente del buono. C'è, e lo mettiamo in tasca, sotto al fazzoletto, così da non farlo cascare fuori, l'apice della serata, che va cercato sicuramente nel momento percosìdire acustico. Mettiamo in tasca una gran voce, una buona estensione e delle potenzialità - dico potenzialità perché sembra che le promesse siano troppo fragili. Mettiamo in tasca, questa senza esitare, una tanto (tanto) azzardata quanto (tanto) azzeccata Hallelujah di Coehn: che le cicatrici assomigliano un po' alle crepe che lasciano entrare la luce. Chiudiamo la zip, con un movimento lesto, per non far entrare chi, sotto il palco, con la più buona intenzione, ma la peggio(re) intonazione, si arrampica su questo momento topico capito(mbo)lando con il proprio contributo. Portiamo via l'arrangiamento di vietato morire in abito buono e qualche piccolo dubbio verso una band di fratelli, certamente valida, ma con un guardaroba (metaforico) ancora da aprire e mostrare. In tasca abbiamo messo - tasche grosse le nostre, certo - qualche chicca, qualche testo gentile, sognante, delicato. Abbiamo messo via questa voglia di dire, fare, dare, vivere il bene, il buono delle cose, il bello della vita, anche quando il mazzo dà picche. Abbiamo messo via il male, da non giustificare, da usare come trampolino di lancio, per brillare un po' di più. Abbiamo messo via un ponte, che unisce, sorride storto e di sincera umiltà, e che, certamente, farà ancora un po' di strada. Abbiamo cercato di mettere tutto questo nella tasca destra in alto, ma oggi, appena svegli, qualcosina l'abbiamo spostato, nella tasca di un qualunque mattino, che è poi di un'altra penna, un altro ponte, da questa all'altra parte del mare. Avanti tutta, Ermal. Ciao, Gianmaria.